Sfarzosa residenza di caccia nel Cinquecento, posseduta da famiglie nobili romane e Papi, diventa nel Settecento la dimora dei Principi Falconieri che invitano i migliori artisti del loro tempo, come il pittore Pier Leone Ghezzi e l’architetto Ferdinando Fuga ad affrescare la chiesa e il palazzo. Agli inizi del 1900 viene rilevata da Senatore Luigi Albertini che restaura il borgo, bonifica il territorio e crea un’importante impresa agricola.
Il Castello che oggi ammiriamo è sostanzialmente quello che ci hanno lasciato i Falconieri. Gli affreschi sono perfettamente conservati: possiamo rivivere i fasti dell’anno giubilare 1725, quando il Ghezzi viene chiamato da Alessandro Falconieri a decorare il piano nobile con scene celebranti la visita al castello del Papa Benedetto XIII. All’interno della chiesa ottagonale, gli affreschi sugli altari laterali sono ulteriori testimonianze della sua opera.
L’aspetto di villaggio fortificato dotato di torri di avvistamento, del fossato e delle mura di cinta, ne testimonia l’origine medioevale. Nel 1254 viene citato tra i possedimenti della nobile famiglia Normanni Alberteschi, poi passa nelle mani degli Anguillara, dei Massimo, dei Peretti. Nel giardino variopinti pavoni passeggiano tra alberi di cedro e reperti di scavo: il castello diventa luogo di sontuosi banchetti e battute di caccia. Ma l’altissimo tenore di vita intacca irrimediabilmente il patrimonio familiare e così, nel 1639, la tenuta e il castello vengono venduti ai Principi Falconieri, tra le più ricche famiglie della Roma barocca. Essi chiamano a Torre in Pietra due ingegni del loro tempo: l’Architetto Ferdinando Fuga che realizza la chiesa e il nuovo scalone di accesso al piano nobile, e il pittore Pier Leone Ghezzi cui viene affidata la decorazione degli interni.
Nella seconda metà dell’Ottocento, i Falconieri si estinguono e Torre in Pietra conosce un’epoca di decadenza, fino a quando nel 1926 diviene proprietà del Senatore Luigi Albertini. Luigi Albertini, costretto a lasciare il Corriere della Sera perché in conflitto con il fascismo, investe gran parte della liquidazione della sua quota di proprietà del quotidiano milanese nell’acquisto della tenuta di Torre in Pietra e nella sua trasformazione in azienda agricola modello. Il risanamento della zona, inizialmente paludosa, malarica e pressoché abbandonata, richiede notevoli investimenti, dando dimora e occupazione a centinaia di salariati provenienti soprattutto dalle zone depresse della Lombardia e del Veneto. La moderna Torre in Pietra si distingue soprattutto per l’allevamento di bovine da latte e produzione di vino. Luigi Albertini provvede anche a restaurare il castello, decaduto per l’incuria e l’abbandono dei precedenti proprietari, e a ripristinare il complesso dell’antico borgo annesso, facendone sede di abitazioni per i dipendenti, di attività produttive (la cantina e la stalla) e di servizio all’azienda (officina, selleria, falegnameria).